Il medico della mutuaregia di Luigi Zampa (1968)soggetto: il romanzo omonimo di Giuseppe D’Agata; sceneggiatura: Sergio Amidei, Alberto Sordi, Luigi Zampa; direttore della fotografia (Techniscope-Technicolor): Ennio Guarnieri; musiche: Piero Piccioni dirette dall’autore (edizioni musicali “General Music”); montaggio: Eraldo Da Roma; scenografia e arredamenti: Franco Velchi; costumista: Bruna Parmesan; aiuto regista: Sofia Scandurra; operatore: Arturo Zavattini; fonici: Franco Groppioni, Raul Montesanti; truccatore: Giulio Natalucci; parrucchieri: Antonio Mura, Marcella Favella; Rassegna stampa La situazione mutualistica italiana non è precisamente, o non è più, quella rappresentata da questo film (e prima ancora dal romanzo di Giuseppe d'Agata)? La questione importa poco: resta alla satira un cospicuo fondo di verità: il livellamento industriale delle libere professioni in generale e di quella di Galeno in particolare. Le turbe dei «mutuati» (44 milioni), smaniose di esser visitate e «ricettate», si porgono come un paese di cuccagna al medico che non ha tempo d'aspettare clienti «paganti». Ma notevole è anche la turba dei medici mutualistici che si dividono la torta, sicché l'insieme si configura come una giungla. Riuscirà il povero Tersilli a farsi largo tra i beati possidentes o addirittura i latifondisti della mutua? Ci riuscirà tanto che diventerà uno di loro e il più invidiato (21.000 mutuati l'anno, sbrigati per visite di cinque minuti). E resisterà all'infarto, non darà agli invidiosi colleghi la soddisfazione che lui si prese dal dottor Bui, quando questo, prima di morire, lo nominò suo «erede» per intercessione della moglie. Perché fune e piccozza di questa scalata sono le donne: la madre e la fidanzata prima, poi la vedova di Bui, poi la figlia di un ricco costruttore, che Terzilli sposerà per garantirsi l'ambulatorio in proprio e l'attico. Dove lo lasciamo a godersi il beneficio di poter visitare i malati a distanza, per telefono. Satira, più o meno paradossale, ma fervida, molto divertente e raccolta, nonostante il pericoloso cumulo degli episodi. Con un Sordi misuralo, intento e tuttavia spassoso come nelle ore migliori. Nel giro di una settimana, in Italia, abbiamo avuto due «prime»: «Giornata del Medico» (colla m maiuscola) ed il film Il medico della mutua (colla m minuscola); una coincidenza, evidentemente: ma che non poteva esser peggiore e, al tempo stesso, più significativa. Della “Prima giornata del Medico” — destinata, nella giusta intenzione degli organizzatori, a celebrare l'umanissima figura del «padrone ed amico di quando si è malati» — non si è accorto quasi nessuno. Non perché la gente non conservi, in fondo al cuore, l'antica fiducia nella medicina e nei suoi uomini; ma perché non basta la premiazione di una ventina di valorosi e nobilissimi vecchi medici per colpire e commuovere l'opinione pubblica; ed anche perché, al giorno d'oggi, la figura del medico a cui, tradizionalmente, la gente vuol bene, in pratica non si sa proprio più dove cercarla. Il film di Zampa, invece, lo vedranno tutti: Sordi “lavora bene”, le scene dell'ambulatorio, delle “code”, delle ricette lampo, delle diagnosi “a colpo d'occhio mutualistico” sembrano quasi vere, proprio quelle vissute da qualsiasi persona che sia iscritta al gran giro dei 45 milioni di mutuati di casa nostra. Un film — se non è apertamente offensivo, se è garbato e se ha il benestare della censura — può prendere in giro chiunque: tanto, se il “tasto” che tocca è sbagliato o esagerato o assurdo, non ha successo. Ma qui il regista e l'attore — e, molto prima di loro, il dottor Giuseppe D'Agata, nelle sue amare e scottanti pagine del libro edito da Feltrinelli — sapevano di puntar giusto. Tutti, in giro, da tempo non aspettavano altro che di vederlo, questo film, come se si trattasse di un “film di famiglia” o, perlomeno, di una comica molto familiare. Certo bisogna aver lavorato molto allegramente — tutti insieme, medici e mutuati, — per arrivare ad esser scelti come protagonisti di un film con Sordi. Ed è un peccato che la gente — non si sa se per filosofia o per ormai passiva accettazione — vada a divertirsi su una delle sue cose più serie. Il regista è stato attento a presentar la vicenda in modo bonario, senza offender nessuno: come se si trattasse di un balletto. Ma chi vede il film non può non ricordare le pagine del libro da cui proviene: e quel libro — coi suoi personaggi e colle sue situazioni volutamente esasperate — è proprio un atto d'accusa contro le incongruenze, l'aridità e, in certi casi, la disumanità del nostro sistema di medicina pratica “assicurata”. Qualcuno dice che, colle migliorate condizioni di educazione e di progresso sociale, tutto cambierà in meglio. E che bisogna aver pazienza: perché ogni sistema nuovo deve pur avere la sua «preistoria». Oggi, comunque, anche in questa fase “preistorica”, si fa fatica a sopportare che i mutuati — cioè, in pratica, quasi tutti i potenziali ed effettivi malati del nostro Paese — figurino, magari solo in un film “scherzoso”, come tanti “numeri”; e che i medici, anche solo per bonaria presa in giro, possano essere visti come figure di facile effetto amaro-comico. |