Il medico della mutua

regia di Luigi Zampa (1968)

soggetto: il romanzo omonimo di Giuseppe D’Agata; sceneggiatura: Sergio Amidei, Alberto Sordi, Luigi Zampa; direttore della fotografia (Techniscope-Technicolor): Ennio Guarnieri; musiche: Piero Piccioni dirette dall’autore (edizioni musicali “General Music”); montaggio: Eraldo Da Roma; scenografia e arredamenti: Franco Velchi; costumista: Bruna Parmesan; aiuto regista: Sofia Scandurra; operatore: Arturo Zavattini; fonici: Franco Groppioni, Raul Montesanti; truccatore: Giulio Natalucci; parrucchieri: Antonio Mura, Marcella Favella;
interpreti e personaggi: Alberto Sordi (dottor Guido Tersilli), Bice Valori (Amelia Bui), Sara Franchetti (Teresa), Nanda Primavera (mamma Tersilli), Evelyn Stewart (Anna Maria), Claudio Gora (il primario), Franco Scandurra (dottor Carlo Bui), Leopoldo Trieste (Pietro), Sandro Merli (dottor Drufo), Pupella Maggio (la prima paziente), Tano Cimarosa (Salvatore Laganà), Sandro Dori (medico), Filippo De Gara (medico), Marisa Traversi (prostituta);
produzione: Bruno Turchetto per Euro International Film / Explorer Film ’58; direttore della produzione: Romano Cardarelli; ispettore di produzione: Agostino Pane; segretario di produzione: Elio Di Pietro; distribuzione: Euro International Film; durata: 98’ (m. 2691); visto censura: n. 52584 del 19 ottobre 1968; prima proiezione pubblica: 24 ottobre 1968.
Note: Il film originariamente doveva essere diretto da Luciano Salce e il personaggio di Tersilli interpretato da Ugo Tognazzi (cfr. «La Stampa Sera», 21 aprile 1965). Incasso: 3.032.000.000.


Rassegna stampa
Il medico della mutua (dall'omonimo romanzo di Giuseppe D'Agata, edito da Feltrinelli) si presenta come un fuoco di fila di facezie, e diverte assai. Non è altro, in fondo, che la sempiterna satira dei medici avidi e procaccianti, ma rinverdita dall'incidenza d'un grandioso fenomeno sociale, l'organizzazione mutualistica. Quarantaquattro milioni di «mutuati», quanti ne conta l'Italia, affamati di «visite» e di «ricette», sono la vigna del Signore per il giovane medico che non può permettersi il lusso di aspettare la clientela «pagante», e sono anche un naturale e un po' melanconico effetto della civiltà industriale, livellante, col resto, anche le professioni liberali. Il guaio è che i medici della mutua sono tanti, e bisogna farcisi largo a gomitate. Cosi fa, aiutato da una solertissima madre e da una volonterosa fidanzata, il nostro Guido Terzilli, assistente volontario presso un ospedale di Roma, che impiantato un ambulatorio nel quartiere dell'Urbe dove la concorrenza è minore, incomincia ad avere i suoi primi clienti. Ma sono sempre troppo pochi rispetto a quelli di colleghi più fortunati, e una miseria se la si paragona alle grandi possessioni di mutuati di certi latifondisti come il dottor Biti, che peraltro va estinguendosi per cancro. Tersilli, non bastandogli più né madre né fidanzata, pianta quest'ultima e «si lavora» l'imminente vedova del Bui, alla morte del quale ne raccoglie l'eredità; pianta poi la stessa benefattrice per sposare la figlia d'un ricco costruttore, che gli permetterà ambulatorio in proprio e attico. Ora è «arrivato», e sempre abbreviando i tempi delle visite, può spacciare 21 mila mutuati l'anno, un record che gli costa un collasso, col pauroso spettacolo dei colleghi appollaiati al suo letto nell'attesa dell'eredità. Ma si ripiglia, e tutt'al più, per prudenza, visiterà le turbe a distanza, telefonando istruzioni all'infermiera. Satira, con quel tanto di paradossale che il «genere» comporta (e quindi senza che vi sia vero motivo d'impermalimento), Il medico della mutua porta la firma di Luigi Zampa, un regista che dopo aver dato al nostro neorealismo tonalità non dimenticate, ha saputo e sa, anche nei film di carattere commerciale, esercitare il dono dell'intelligenza (si pensi a molti tratti di Le dolci signore). Qui esso si fa soprattutto sentire nel buon governo di una materia aneddotica e in fondo monotona, costretta a sfavillare in trovatine che potevano diventare tante occasioni di slabbratura. Non lo diventano quasi mai; i tanti sketches entrano nella compagine d'una lucida satira di categoria rapportata al costume. Merito dell'autore, ma anche del protagonista, il quale non poteva non essere Alberto Sordi, rientrato nella sua vecchia pelle di «rampichino» e profittatore con un cresciuto gusto per l'economia comica, qui dosata a piccole ma irresistibili dosi. Gli tengono degnamente bordone Bice Valori, Sara Franchetti, Evelyn Stewart, Claudio Gora e Leopoldo Trieste.
l.p. [Leo Pestelli], Sordi, “medico della mutua” cura 21 mila malati l'anno, «La Stampa», 25 ottobre 1968.

La situazione mutualistica italiana non è precisamente, o non è più, quella rappresentata da questo film (e prima ancora dal romanzo di Giuseppe d'Agata)? La questione importa poco: resta alla satira un cospicuo fondo di verità: il livellamento industriale delle libere professioni in generale e di quella di Galeno in particolare. Le turbe dei «mutuati» (44 milioni), smaniose di esser visitate e «ricettate», si porgono come un paese di cuccagna al medico che non ha tempo d'aspettare clienti «paganti». Ma notevole è anche la turba dei medici mutualistici che si dividono la torta, sicché l'insieme si configura come una giungla. Riuscirà il povero Tersilli a farsi largo tra i beati possidentes o addirittura i latifondisti della mutua? Ci riuscirà tanto che diventerà uno di loro e il più invidiato (21.000 mutuati l'anno, sbrigati per visite di cinque minuti). E resisterà all'infarto, non darà agli invidiosi colleghi la soddisfazione che lui si prese dal dottor Bui, quando questo, prima di morire, lo nominò suo «erede» per intercessione della moglie. Perché fune e piccozza di questa scalata sono le donne: la madre e la fidanzata prima, poi la vedova di Bui, poi la figlia di un ricco costruttore, che Terzilli sposerà per garantirsi l'ambulatorio in proprio e l'attico. Dove lo lasciamo a godersi il beneficio di poter visitare i malati a distanza, per telefono. Satira, più o meno paradossale, ma fervida, molto divertente e raccolta, nonostante il pericoloso cumulo degli episodi. Con un Sordi misuralo, intento e tuttavia spassoso come nelle ore migliori.
l.p. [Leo Pestelli], Sordi medico va a dodici mutuati l’ora, «La Stampa Sera», 25 ottobre 1968.

Nel giro di una settimana, in Italia, abbiamo avuto due «prime»: «Giornata del Medico» (colla m maiuscola) ed il film Il medico della mutua (colla m minuscola); una coincidenza, evidentemente: ma che non poteva esser peggiore e, al tempo stesso, più significativa. Della “Prima giornata del Medico” — destinata, nella giusta intenzione degli organizzatori, a celebrare l'umanissima figura del «padrone ed amico di quando si è malati» — non si è accorto quasi nessuno. Non perché la gente non conservi, in fondo al cuore, l'antica fiducia nella medicina e nei suoi uomini; ma perché non basta la premiazione di una ventina di valorosi e nobilissimi vecchi medici per colpire e commuovere l'opinione pubblica; ed anche perché, al giorno d'oggi, la figura del medico a cui, tradizionalmente, la gente vuol bene, in pratica non si sa proprio più dove cercarla. Il film di Zampa, invece, lo vedranno tutti: Sordi “lavora bene”, le scene dell'ambulatorio, delle “code”, delle ricette lampo, delle diagnosi “a colpo d'occhio mutualistico” sembrano quasi vere, proprio quelle vissute da qualsiasi persona che sia iscritta al gran giro dei 45 milioni di mutuati di casa nostra. Un film — se non è apertamente offensivo, se è garbato e se ha il benestare della censura — può prendere in giro chiunque: tanto, se il “tasto” che tocca è sbagliato o esagerato o assurdo, non ha successo. Ma qui il regista e l'attore — e, molto prima di loro, il dottor Giuseppe D'Agata, nelle sue amare e scottanti pagine del libro edito da Feltrinelli — sapevano di puntar giusto. Tutti, in giro, da tempo non aspettavano altro che di vederlo, questo film, come se si trattasse di un “film di famiglia” o, perlomeno, di una comica molto familiare. Certo bisogna aver lavorato molto allegramente — tutti insieme, medici e mutuati, — per arrivare ad esser scelti come protagonisti di un film con Sordi. Ed è un peccato che la gente — non si sa se per filosofia o per ormai passiva accettazione — vada a divertirsi su una delle sue cose più serie. Il regista è stato attento a presentar la vicenda in modo bonario, senza offender nessuno: come se si trattasse di un balletto. Ma chi vede il film non può non ricordare le pagine del libro da cui proviene: e quel libro — coi suoi personaggi e colle sue situazioni volutamente esasperate — è proprio un atto d'accusa contro le incongruenze, l'aridità e, in certi casi, la disumanità del nostro sistema di medicina pratica “assicurata”. Qualcuno dice che, colle migliorate condizioni di educazione e di progresso sociale, tutto cambierà in meglio. E che bisogna aver pazienza: perché ogni sistema nuovo deve pur avere la sua «preistoria». Oggi, comunque, anche in questa fase “preistorica”, si fa fatica a sopportare che i mutuati — cioè, in pratica, quasi tutti i potenziali ed effettivi malati del nostro Paese — figurino, magari solo in un film “scherzoso”, come tanti “numeri”; e che i medici, anche solo per bonaria presa in giro, possano essere visti come figure di facile effetto amaro-comico.
il dottor x, La strana vita del medico, «La Stampa», 25 ottobre 1968.