Poco a poco

regia di Alberto Sironi (1980)

soggetto: il romanzo di Francis Durbridge (traduzione: Franca Cancogni); adattamento: Giuseppe D'Agata;
interpreti: Flavio Bucci, Teresa Ann Savoy, Franco Fabrizi, Renato Scarpa, Diego Abatantuono;
messa in onda televisiva: il 30 novembre, il 5 e 7 dicembre 1980, Rete2, ore 20.40.


Rassegna stampa
Torna in Tv Francis Durbridge, l'autore inglese noto al pubblico per i numerosi gialli realizzati per la tv che portano la sua firma, da Giocando a golfuna mattina a Come un uragano per citare i più conosciuti. Il nuovo giallo televisivo ha per titolo Poco a poco e andrà in onda in tre puntate: domani, venerdì 5 e domenica 7 dicembre, alle 20,40, sulla rete Due.
L'adattamento — Giuseppe D'Agata (Il medico della mutua, Il segno del comando, ecc.) si è assunto il compito di intervenire sull'originale di Durbridge (tradotto da Franca Cancogni). La ristrutturazione è stata condotta con la finalità — favorita dalla trama di partenza — di giungere ad un racconto il più lineare possibile, compatibilmente con le regole del “genere”, per accrescere lo spessore psicologico dei personaggi e collocare la vicenda oltre gli stessi confini del “giallo”, nell'ambito di uno sceneggiato legato alla realtà contemporanea.
La regia - La regia è di Alberto Sironi, che già si era messo in luce con due telefilm tradotti da racconti di Scerbanengo: Per due testoni e Professione: farabutto. Da sottolineare che questa volta la sua regia, caratterizzata da un taglio cinematografico, si è avvalsa esclusivamente delle telecamere, anche per gli esterni.
Il cast - Flavio Bucci è un commissario milanese, Teresa Ann Savoy ricopre il ruolo di una giovane americana. Per la prima volta in tv appare Franco Fabrizi, il protagonista di tanti film negli Anni 50 e 60. Un felice ritorno è quello di Mariolina ovo. Nei ruoli principali vi sono inoltre Renato Scarpa, Rino Cassano e Diego Abantantuono, un giovane attore che si è messo in luce nel nuovo cabaret milanese. La scenografia è di Ludovico Muratori e i costumi di Gianna Sgarbossa. Le musiche sono state composte da Paolo Conte.
La vicenda - In pratica, con una sorta di operazione di meccanica sofisticata, il “congegno” narrativo di Durbridge è stato collocato in una realtà italiana appositamente reinventata. La vicenda è così ambientata a Milano, un luogo che dà credibilità ai personaggi, in prevalenza appartenenti ad una borghesia urbana attiva ed efficiente. La storia, così riscritta, non è priva di azione ma non è giocata sulle forti tinte, sui facili effetti. Tanto per esemplificare, è più vicina al Simenon di Maigret che ai polizieschi americani.
Un coreografo famoso, che prepara un balletto per il Teatro alla Scala, è vittima di una aggressione. Pare che la spiegazione del fatto si debba ricercare fra le “amicizie” particolari dell'uomo. Poche ore dopo, in circostanze diverse, una costumista, collaboratrice del coreografo, viene a sua volta aggredita. Qual è il significato delle due aggressioni? Sono degli avvertimenti, e c'è un nesso fra i due fatti? Ma il mondo nel quale vivono i due non è quello dove di solito avvengono i cosiddetti regolamenti di conti... Un commissario milanese indaga, sulla base di labili indizi e vaghi sospetti, in un ambiente riservato e reticente.
Il successo di Durbridge, come “giallista”, autore di originali appositamente scritti per la tv, si spiega con l'indiscusso professionismo di questo autore: le sue trame sono ben consegnate, i colpi di scena sono dosati con sapienza, e qualche macchinosità viene compensata da un sicuro senso dell'intrattenimento.
Altri brividi gialli firmati Durbridge, «La Stampa Sera», 29 novembre 1980.

La via italiana al giallo televisivo è lastricata di buche e voragini. In mancanza di una tradizione letteraria rispettabile e col fascino irresistibile di autori e testi l’oltre frontiera, la TV ha puntato sempre sul sicuro, lasciando solo negli ultimi tempi a qualche briciola a chi volesse cimentarsi con soggetti e personaggi delle parti nostre. Esperimento scarsamente riuscito, soprattutto verso le platee televisive, viziate dalla spettacolarità più sofisticata. Spettacolarità, ben s’intende, ch eè il sale dell’avventura thrilling, ma che, condita con storie all’italiana, aveva il sapore pacchiano della marmellata sui maccheroni.
C’è voluto quindi del coraggio (o dello stomaco, in questo caso) ad impastare un autore come l’inglese Francis Durbridge, forse il “giallista” più saccheggiato dalla nostra TV (negli anni Sessanta, i suoi “eroi” – che poi erano i vari Aroldo Tieri, Rossano Brazzi, Alberto Lupo, Ugo Pagliai – misero in crisi il tenente Ezechiele Sheridan: il primo sceneggiato fu La sciarpa, poi vennero Paura per Janet, Melissa, Come un uragano, Lungo il fiume e sull’acqua, fino ai più recenti Dimenticare Lisa e Traffico d’armi nel golfo), con una vicenda che ha come scenario Milano e per protagonisti un poliziotto, ultima leva, che ascolta Jannacci e non l’americano (l’unica cosa che adora dell’America è Marilyn Monroe), qualche “pirla” che paga per tutti e alcuni maneggioni di piccolo cabotaggio.
Sono questi i personaggi di Poco a poco, lo sceneggiato in tre puntate che parte stasera sulla Rete 2, ossia un racconto di Durbridge adattato da Giuseppe D’Agata, realizzato dal regista Alberto Sironi (non a caso autore, qualche anno fa, di due lavoro, Per due testoni e Professione farabutto, tratti dall’italianissimo “giallista” Mario Scerbanenco). La storia si avvia con un pestaggio di un coreografo della Scala. Le amicizie dell’individuo fanno pensare, in un primo momento, ad una vendetta o ad un avvertimento maturato negli ambienti omosessuali. È lo stesso aggredito che indirizza le indagini verso quella direzione; ma alcuni giorni dopo, ad essere aggredita è una sua collaboratrice, una costumista, una ragazza italo-americana strana e trasparente quanto può essere Teresa Ann Savoy, attrice di cui s’erano perse le tracce, dopo gli esordi con Lattuada e l’ultima apparizione nel Caligola maledetto di Tinto Brass.
Per il commissario (un Flavio Bucci accartocciato su se stesso, con quella faccia che fa pensare più ad un antagonista che ad un tutore della legge) non vi sono dubbi: i due episodi sono collegati. Già. Ma da che cosa? Qualche schiarita potrebbe venirgli dall’aggressore di Annie, rimasto ferito nella colluttazione con la ragazza, ma costui ha la bocca cucita.
Qualcosa in più riesce a sapere, invece facendo pedinare la ragazza dal suo collaboratore, che pare andato a scuola da Serpico, il poliziotto americano. Annie ha un padre pittore (anche qui un altro ripescaggio, l’attore Franco Fabrizi), pittore di scarsa quotazione, frequentatore di ippodromi e amico del coreografo omosex. Entrambi hanno una casa piena di quadri…
Sironi e D’Agata hanno in pratica smontato la scatola su cui si regge l’intrigo giallo di Durbridge – che è sostanzialmente mutuato da atmosfere di mistero un po’ rarefatte – per puntare sui singoli personaggi della storia, immersi in una realtà che non è certo quella londinese. Assistiamo così ad un’operazione inversa da quella compiuta in passato, tranne qualche eccezione, sugli sceneggiati tratti dallo scrittore inglese. Un racconto, cioè, non più puntato sulla spettacolarità, necessaria a far apparire reale, nei confronti del pubblico italiano, un’atmosfera tutta britannica, ma una storia che usa il “giallo” per indagare le singole psicologie e l’ambiente in cui vivono dei personaggi che potremmo incontrare domani sull’autobus. Non avremo allora né cadaveri di troppo, né buoni e cattivi che agitano come pupazzi, né esemplari di malavita, rendendo così un buon servizio allo stesso Durbridge, che pure non eccede con questa merce, attento com’è a non urtare la sensibilità del suo pubblico medio borghese.
Non è che la ciambella riesca pienamente con il buco (molte ingenuità nei dialoghi, qualche scena di troppo e atteggiamenti incredibilmente fricchettoni per dei poliziotti nostrani); né è da credere che, gli antichi vizi, questo sceneggiato scateni entusiasmo negli spettatori come accadde per Melissa. Ma erano quelli tempi in cui si credeva ancora alle favole poliziesche.
Gianni Cerasuolo, Arriva da Londra un commissario tutto italiano, «L’Unità», 30 novembre 1980.

Ma che strana operazione quella del giallo Poco a poco di cui l'ultima puntata va in onda stasera sulla rete 2.
Tutti sanno chi è Durbridge: è un distinto signore inglese che da più di vent'anni, ogni giorno dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 19 (con l'intervallo per il tè), scrive copioni gialli. Quanti ne abbia sfornati, non si sa; pare che il totale si aggiri sul centinaio fra sceneggiati radiofonici e sceneggiati televisivi, e commedie. Durbrige ha venduto i suoi prodotti a tutte le tv europee. Anche in Italia è noto e basterà citare “La sciarpa”, “Paura per Janet”, “Lungo il fiume e sull'acqua”: il suo stile deriva dai grandi maestri delle letteratura poliziesca britannica e, senza scomodare Collins e Conan Doyle, le citazioni di Agatha Christie, per le sottigliezze dell'intrigo, e di Edgar Wallace, per l'avventura tenebrosa, sembrano d'obbligo.
Poco a poco è una delle sue ultime creazioni. La Rai ha subito fatto l'acquisto, ma cosa è successo dopo? Si è scoperto che il copione era “troppo inglese” e che era basato per tre quarti su un'atmosfera tipicamente britannica, con personaggi molto britannici. Realizzarlo in Italia era impossibile, ne sarebbe uscito un falso, con Londra finta e il policeman dall'accento romanesco. Realizzarlo in Inghilterra era egualmente impossibile perché sarebbe costato una cifra spropositata. E allora si è compiuta la “strana operazione”.
È stato chiamato uno scrittore come Giuseppe D'Agata (“L'esercito di Scipione”) e D'Agata, lavorando sulla traduzione di Franca Cancogni, ha proceduto — e lui stesso che lo dice — ad «alcuni ampi ritocchi all'intreccio di Durbridge» e ha trasferito la storia dall'Inghilterra a Milano, e così il pudding britannico è diventato un risotto alla milanese. Pieno di ingegno D'Agata; ma non era più semplice, più logico, e forse più economico, incaricare D'Agata di scrivere un copione originale considerato che egli è l'autore de “Il segno del comando”, il giallo italiano che ha avuto il maggiore successo sul video? Non voglio parlare di questa terza puntata che contiene la soluzione del mistero e che è il momento più teso di una storia per la verità rarefatta e non incalzante: riferendomi alle altre due puntate ho l'impressione che la ricerca di un'atmosfera giallo-lombarda da parte dell'attento regista Alberto Sironi sia stata assidua e con buoni risultati, ma che abbia nociuto non poco al ritmo troppo lento, e alla suspense, troppo scarsa. Non è che si pretendano ogni volta i gialli con le porte che cigolano e con i cadaveri che rotolano fuori dall'armadio, però...
Ugo Buzzolan, Thriller britannico che diventa milanese, «La Stampa», 7 dicembre 1980.