Quattro impiccati in Piazza del PopoloVisitate l'Italia e i suoi gorilla Il viaggio è troppo lungo, accidenti, il vostro buon vecchio Joe mica è un pacco, che se ne fotte di latitudini e fusi orari: se non fosse al vostro servizio, al servizio di milioni di lettori, sapete dove sarebbe a quest'ora? No? Dunque cominciamo pure con la verità, nient'altro che la verità, fino in fondo, cioè dal primo comandamento di un inviato, di uno che va in giro per informare chi se ne sta a casa di ciò che combinano i suoi simili qua e là per il mondo: uno dice, ma questo non è un fatto, una notizia, è un problema che sta dentro l'inviato in quanto inviato, fa parte del suo mestiere, e io rispondo, cari lettori, che voi avete diritto di sapere tutto, e prima di tutto chi è che cucina, e in quale modo, questo cibo di carta che voi avidamente mangiate. I fatti. Potrei raccontarvi, mettiamo, che dopo un solo giro di whisky ho persuaso un paio di dirottatori timidi a cambiare idea e a godersi una vacanza a Roma: ma se devo inventare tanto per riempire lo spazio, come fanno gli altri inviati, preferisco darvi brividi più violenti, non vi pare? Intendiamoci, non spetta a me, scrittore specializzato in romanzi, farvi una lezione sul giornalismo moderno, spiegarvi quando è duro e quando è moscio (c'è poco da ridacchiare, cara lettrice: io e te sappiamo bene che la lettura, specialmente del giornale, è un esercizio solitario e perciò permeato d'impudicizia, una pratica che induce alla masturbazione della fantasia, e spesso non solo di questa). D'accordo, ma la tradizionale disputa giornalistica fra enuncia tori dei fatti e commentatori dei fatti, non sembra anche a voi dogmatica e puerile? Credete a me, il vero giornalismo non può essere che avventura, anche il più banale fatto di cronaca è un'avventura che deve coinvolgere chi lo racconta e chi lo legge. Piuttosto c'è il problema dei limiti della verità: aspettate, lasciatemi dire, figuratevi se il vecchio Joe è per la verità limitata: il punto è se far sapere o no a un malato tutta la gravità della sua malattia. Sì, cari lettori, coglioncelli miei, i malati siete voi, è il sistema di valori nel quale vivete, e allora vi va di sapere esattamente come e perché e quando arriverà la fine? Ne riparleremo, intanto io comincio dai fatti che mi sono accaduti ieri. Legge filosofica fondamentale che regola la convivenza è che quando chi comanda, cioè il tuo capo, ti dà un ordine, è una botta d'incontro che non puoi schivare, massimo puoi sperare di incassarla alla meglio se ti reggi bene sulle gambe. Ebbene il capo, il mio agente letterario, mi dice ieri che il Gallup del mio successo di romanziere populista e moralista inclina paurosamente verso il basso, che le stronzate che scrivo (dice così, ma da amico, mi capite) galleggiano in uno stagno di stupidità, sono troppo vuote insomma per la gente che oggi chi sa che cavolo pretende di leggere. Eppure, dopo tutto, il vecchio Joe scrive bene, voi lo potete testimoniare, anche la fottuta critica è unanime, ma evidentemente non basta più: penso a certe scrittrici, le quali per cercare di soddisfare le accresciute esigenze del lettore allegano a ogni copia dei loro libri un pelo autenticato del loro pube. Il mio agente letterario dice che mi ci vuole un colpo sensazionale che mi riporti su, che mi rilanci e mi rimetta in circolazione. Prende il giro alla larga, si domanda se non sono troppo pigro, se alcool e poltrona non sono per caso un universo angusto, limitato, dove l'ispirazione di uno scrittore rischia di soffocare: gli dico di non avere paura a darci dentro, a colpire diretto al mento, perché Joe ritiene salutare farsi criticare da chi comanda, buscarsi una menata che, se gli mette alla prova le protesi dentarie, tante volte gli raddrizza le idee se pure non gliene fa venire delle nuove: dunque vieni al sodo, amico. Lui dice che ha deciso di vendermi a una catena di giornali come inviato: pare che la mia firma possa funzionare e l'operazione servirebbe a scrollare dai miei libri la polvere dei magazzini dell'editore. Non ne ho mai voluto sapere di giornalismo, protesto, i miei elzeviri, i miei pensamenti morali a uso dei giornali, sono sempre stati rigorosamente riquadrati per separarli dal resto, dalle colonne di balle, banalità e insulsi dati statistici, il tutto chiamato informazione, la mia prosa è superiore, al massimo ai giornali potremmo vendere una serie di foto nelle quali mi si vede nudo a diritto e al rovescio, oppure: stop, perché l'agente letterario ha già firmato il contratto per me e ha in mano l'assegno, amici lettori non stentate a capirmi, suppongo. La mia prima idea era di fare dei servizi sulla cattura dei salmoni, poiché sono forte in caccia e pesca, ma pare che un inviato funzioni a dovere se parla di guerre o guerriglie o rivoluzioni. Il guaio è che, come voi, me ne sono sempre infischiato della sporca politica, l'ultima cosa che ho voglia di fare è immerdarmici. "La verità, Joe," mi dice all'aeroporto il mio agente "scrivi la fottuta verità e basta." La vecchia Mary ha deciso per l'Italia. Fra guerre, guerriglie, rivoluzioni, sommosse, non c'era che l'imbarazzo della scelta sulla carta geografica del mondo: Mary ha scelto l'Italia perché pare che lì stia succedendo qualcosa e la vecchia ragazza Mary da tempo era ansiosa di visitare qualche posto del terzo mondo: non sono sicuro che abbia capito che l'Italia non fa parte dell'America latina o dell'Arabia, ma si trova in mezzo alla lercia e decrepita Europa. lo? Si può dire che in Italia sono di casa: mi ricordo una notte a Barcellona con una bionda, ma quando sarò a corto di argomenti vi racconterò della bionda di Barcellona, peccato proprio che in questa storia non c'entri.Mentre leggo ciò che è utile conoscere dell'Italia, fiume più lungo, monte più alto e così via, cerco di darmi una risposta a ciò che significa scrivere la verità, un problema mica da poco sul quale vorrei richiamare ancora un momento la vostra cortese attenzione. Tenete presente che Joe, voi lo sapete, è uno scrittore abituato a parlare quasi esclusivamente di sé, a dare la giusta importanza a come beve, mangia, mena le mani e scopa. Ora faccio un esempio. Mary dorme, io non posso, quel che di meglio decido di fare è sgranchirmi le gambe passeggiando su e giù per il jet che è quasi deserto: i pochi naviganti sembrano degli ibernati, eccetto me e, scopro, una albina in fondo di cui vedo straripare delle gambe, due naturalmente, dal sedile vuoto che le fa da paravento (chi sa perché i moralisti l'hanno chiamato così: forse uno spogliatoio è esposto alla tempesta dei sensi). Mi presento col whisky e al posto delle gambe, che l'albina ritira ma non copre, mi siedo. Ha letto uno dei miei libri, fa, mi domanda sottovoce se vado in Italia, cocco, lei va ad Ankara, a ballare credo, beve e io allungo pacifico una mano verso il lontano orlo del collant, ma lei scuotendo il capo dice con un sorriso che non si può, che ha un tampax in vagina, però è disposta a conversare poiché non le capita tutti i giorni uno scrittore sottomano: io mi sistemo meglio e sottopongo a un suo massaggio – uso una perifrasi perché non mi è ancora chiara la sociologia dei lettori di questo giornale – ciò che mi spunta dalla lampo aperta dei pantaloni. Dimostra di saperci fare, e molto, sotto una rivista di moda spiegata a mo' di tovagliolo, lasciate che il vecchio Joe ve lo dica da intenditore, intanto mi spiega con l'indirizzo esatto dove si possono acquistare dei magnifici tappeti ad Ankara. Ciao, albina, voglio credere che se un giorno capiterò ad Ankara sono sicuro che ti incontrerò in un posto qualsiasi, quasi certamente in un piccolo bar, ma ora proprio non posso seguirti, i lettori aspettano impazienti gli articoli del loro Joe. Ecco, chi sa a quanti di voi saranno capitate cose di questo genere, infatti non ve l'ho raccontata per la sua eccezionalità ma per spiegare ciò che intendo per verità giornalistica. Insomma, la verità è anche quella che passa attraverso il vostro Joe mentre va incontro alla verità? lo credo di sì. No, nel caso specifico, nessun problema per Mary. A parte il suo moderato entusiasmo per quello che scrivo – il mio editing è abbondantemente scontato per lei – siamo d'accordo che io appartengo soltanto ai miei lettori: voglio dire niente da dire sul fatto dell'albina, vero o no che sia, perché l'ottima Mary non oserebbe mai frustrare il diritto all'espansione della sensibilità di uno scrittore. Un giorno, se capiterà o se sarà utile, vi parlerò dei meriti di Mary, una tipica nostra ragazza e perciò in gamba, potete scommetterci. A questo punto preferisco domandarmi se è opportuno dividere lo scrittore dal giornalista e se è così in quale momento, in quale punto deve avvenire una simile traumatica separazione. Amici miei, sembra che dobbiamo essere problematici, contorti, ambigui: quel che vi voglio dire è che non è certo un bene, poiché non corrisponde al nostro tradizionale sano modo di pensare. Dunque l'Italia a quanto pare è una repubblica, con un presidente, un governo, una camera dei deputati e un senato: che cavolo di rapporto c'è fra queste istituzioni, insomma di chi è il potere, non si capisce. Ecco in quale casino si vanno a cacciare in Europa con la loro mania di fare della teoria e dell'arte della politica e fingendo di dimenticare quello che sanno anche i bambini, che il primo e vero potere è quello economico: l'interesse della società è che vada a finire nelle mani dei capaci onesti e non dei capaci disonesti, e tutti dobbiamo cooperare per arrivare a questo, senza lasciarci incantare dalle pensate europee, dai bei regali che ci hanno fatto a partire da Machiavelli per arrivare a Marx. Poi in Italia ci sono troppi partiti, molti dei quali creati apposta per carpire il voto dei babbei sulla base di sottilissime distinzioni, e come se non bastassero vi si aggiungono dei gruppi chiamati extraparlamentari, cioè fuori, cioè contro le istituzioni, insomma fuorilegge, sorti con lo scopo di provocare la sacrosanta indignazione della buona borghesia,. detta di destra perché produce e lavora ed è per l'ordine, e della parte più sana e quindi prevalente della magistratura, dell'esercito, della polizia, anzi delle polizie, e finanche del clero. Ultimamente anche i sindacati si sono dati da fare, pretendendo di mettersi sullo stesso piano degli imprenditori. Ogni categoria vuole fare della politica, perfino gli studenti si danno alla politica invece che allo sport. Capito? Non bastano i guasti dei politicanti di professione, ci si mettono di mezzo anche i dilettanti, gli inesperti. Ma ora, in quale misura le cose sono cambiate? "In questo paese non si capisce un cazzo," mi dice l'addetto culturale dell'ambasciata che è venuto a ricevermi all'aeroporto di Fiumicino. "Ma non darti troppa pena, Joe, ti basta il colore locale e del resto goditi il sole." Appare tranquillo e dà affidamento poiché ha lavorato nelle ambasciate di mezzo mondo; infatti la sua frase d'esordio è quella classica con la quale incominciano di solito i rapporti segreti dei nostri diplomatici: "In questo paese non si capisce un cazzo." E dicono la verità, purtroppo. "Ma è vero che ci troviamo in piena rivoluzione?" domanda eccitata la vecchia Mary. "E il nostro paese che cristo fa? Sta a guardare?" Prima di proseguire con la risposta dell'addetto, tanto più che è una stronzata, prego il lettore di rilevare il linguaggio che il suo Joe sa usare: spregiudicato, realistico, incisivo, come si conviene ad un giornalismo di tipo nuovo. L'addetto culturale risponde che il suo mestiere è stare con gli occhi aperti e che per lo meno una cosa ha capito: che non è il caso di scomodare neanche la NATO. Sistemata questa dannata rivoluzione nella sua cornice internazionale – mi è parso opportuno per prima cosa rassicurarvi, cari lettori, che l'Italia non è un Vietnam – vediamo più da vicino ciò che accade. È sera: i saloni dell'aeroporto rigurgitano di folla. Turisti, gente in ferie, borseggiatori e pataccari, qualche militare e pochi poliziotti. Ma sono sicuro che gran parte della folla è costituita da poliziotti in borghese, in media un italiano su sei è un poliziotto in borghese, diretto o indiretto. Dai parroci ai portieri, comprendendo la maggioranza degli addetti ai servizi e alle attività terziarie. lo passo come VIP, ma sono sicuro che altri giornalisti vengono respinti, trattenuti, perquisiti, cacciati senza cerimonie. Mentre aspettiamo i bagagli, di cui si occupa l'addetto della nostra ambasciata che sembra il padrone dell'aeroporto, organizzo mentalmente questo primo clamoroso servizio: approccio alla rivoluzione, niente male, no? Mary strilla: "Guarda i galeotti!" indicandomi un centinaio di persone che camminano su una pista sotto la scorta di un plotone di agenti. Vorrei correre là, avvicinarmi, Mary dovrebbe scattare delle foto, ma i bagagli sono pronti. "Sportivi in trasferta," spiega l'addetto, "tornano da una partita di calcio." Per me sono dei detenuti politici, e perciò attenzione, amici, mai fidarsi delle versioni dei diplomatici, specie se connazionali, per la buona ragione che preferiscono tenerti lontano dai guai. E poi, che se la prendano comoda perché l'Italia è una nostra colonia è un'altra buona ragione. Montiamo sulla macchina targata CD, fa un caldo tropicale, Mary che ha sbagliato completamente le sue previsioni quasi si denuda, comunque lo fa sempre volentieri. Niente posti di blocco, all'apparenza, Roma non è in fiamme, non si sente sparare un colpo, non c'è nemmeno il coprifuoco. Come al solito la verità è insipida, lettore, parola di romanziere del tuo vecchio Joe: fortuna che c'è la verità nascosta, quella che è tuo diritto conoscere. In piazza del Popolo mi par di vedere quattro impiccati, ma il nostro accompagnatore ha fretta di scaricarci in albergo, in effetti il viaggio è stato molto duro. (pp. 5-14)
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