Il Segno del comandoregia di Giulio Questi (1992)soggetto: Giuseppe D'Agata; sceneggiatura: Giuseppe D'Agata, David Grieco, Giulio Questi; direttore della fotografia: Edmond Richard; Rassegna stampa Parigi. Un vecchio palazzo, a due passi dal Beaubourg. Al secondo piano, la stanza di un commissariato, con una libreria severa anni Cinquanta, sulla scrivania polverosa, ingombra di carte e schedari, un telefono d'epoca e la macchina per scrivere. Le pareti sono grigiastre, screpolate, non ci sono quadri, ma appeso, sul fondo, un ritratto di Mitterrand. Qui, al secondo piano, in un ascensore vecchiotto, ministeriale, Giulio Questi gira una scena di Il segno del comando, il remake del celebre sceneggiato realizzato da Daniele D'Anza dal romanzo di Giuseppe D'Agata, che fu uno dei più grandi successi della Rai. Nel maggio del '71, con un motivo che fece canticchiare l'Italia Cento campane, quella storia intrigante e misteriosa, interpretata da Ugo Pagliai nel ruolo dell'affascinante professore e Carla Gravina, conquistò milioni di telespettatori. Oggi lo sceneggiato è diventato un film tv per Reteitalia, prodotto da Arturo La Pegna. Nel cinema si cercano sempre più spesso soggetti internazionali, spiega La Pegna, che realizzerà Cin cin con Marcello Mastroianni, protagonista dalla pièce Il segno del comando può essere ambientato ovunque, da Roma infatti abbiamo trasferito l'azione a Parigi. All'epoca piacque moltissimo, era la prima volta che la televisione si occupava di parapsicologia, di misteri: tutti ricordano i protagonisti, Pagliai e la Gravina. Noi abbiamo voluto riproporlo per raccontare la storia, ancora attualissima visto l'interesse per il paranormale. Questa nuova versione, costata 6 miliardi, completamente riscritta da David Grieco, che non aveva mai visto il primo sceneggiato, è ricca di colpi di scena ed effetti speciali. Le visioni del protagonista, a dir poco stravaganti, nelle intenzioni dello sceneggiatore, grazie alla regia di Questi, non sfioreranno il ridicolo. Il kitsch fa parte di questo film, spiega Questi, spero di trovare la giusta misura. Al professor Edward Foster, esperto di Byron, capita infatti di vivere una doppia vita, e di tornare in sé grazie a una violenta tempesta di sabbia: la donna dei suoi sogni appare al tramonto su una nave, si materializza in un bicchiere. La storia prevede inoltre che Foster ami solo un fantasma: Il mio protagonista è un uomo che ha perso la moglie, distrutto dall'alcool, spiega Davide Grieco, che ha grandi problemi con le donne. È un nevrotico, nella sua vita tutto può essere credibile, anche le visioni. Ma il film è costruito come un giallo, della storia è rimasto solo il vecchio meccanismo della reincarnazione. Deve tenere i telespettatori col fiato sospeso, senza forzature. Dalle notti insonni sotto la luna a Trastevere, il professor Foster sulle tracce di Byron, si ritroverà nelle strade della Parigi moderna (e anche nei giardini del Palais Royal, e a Parc Monceau), dove il poeta non è mai stato, anche per ragioni economiche. In Francia si risparmia molto, dice il produttore, il mercato tv ha un costo ben preciso. E proprio per il mercato europeo, Il segno del comando, che andrà in onda a primavera su Canale 5 in due puntate da 100 minuti, è girato in inglese con un cast internazionale. Robert Powell, ex Gesù di Zeffirelli, è il professor Foster, a Parigi per una conferenza su Byron, al quale un misterioso personaggio offre i diari del soggiorno parigino del poeta inglese; Sonia Petrovna è Olivia, l'ex fidanzata americana; Fanny Bastien è Emma, la donna del destino, il ruolo interpretato diciotto anni fa da Carla Gravina; Elena Sofia Ricci è Barbara, la giornalista che prima cerca di impossessarsi del diario di Foster, ma poi si innamora di lui; Jonathan Cecil è l'addetto culturale che fa da guida al professore a Parigi; Michael Boquet il capo di una setta esoterica e Paolo Bonacelli il commissario che indaga. Sul set di Il segno del comando, tra i tecnici della troupe, si aggira Edmond Richard, uno dei più grandi direttori della fotografia. Ha accettato di lavorare al film perché conosceva Giulio Questi, un regista sensibile, attento a ogni piccolo particolare. Richard, aria da gentiluomo d'altri tempi, occhi azzurri vivaci, baffetti e chioma candidi, ha lavorato con Orson Welles sul set del Processo a Kafka e Falstaff. Con Luis Bunel, ha realizzato Il fantasma della libertà, Il fascino discreto della borghesia, Quell'oscuro oggetto del desiderio. Della sua vita dedicata al cinema (ha realizzato settanta film) e della sua collaborazione con i due straordinari, diversissimi registi, parla con nostalgia Welles era un genio: l'ho seguito per sette anni, come un cane. Sul set controllava tutto, dalla scenografia, alle luci. Era anche un grande disegnatore, sapeva esattamente come doveva essere la scena che voleva girare. Bunel, un uomo difficile, il Luigi XIV della sinistra, come ironicamente ama ricordarlo, era un regista geniale, con una grande personalità. Aveva sempre un casco per ascoltare, con un grande microfono, perché era sordo. Sentiva anche i più piccoli rumori, era formidabile, una specie di spia. Considerato uno degli eventi televisivi degli anni 70, Il segno del comando torna stasera sul piccolo schermo a distanza di vent'anni nella nuova versione diretta da Giulio Questi. Nel maggio del ' 71, con un motivo, Cento campane, che fece canticchiare l'Italia, quella storia intrigante di misteri e fantasmi, interpretata da Ugo Pagliai nel ruolo del professore che trascorreva le sue notti insonni passeggiando a Trastevere —, e da Carla Gravina, diventò un appuntamento fisso. Stasera Canale 5 presenta alle 20.30 il remake dello sceneggiato tratto dal romanzo di Giuseppe D'Agata; se, nello sceneggiato di Daniele D'Anza, Ugo Pagliai rincorreva per tutta Roma Carla Gravina (o il suo fantasma?), adesso tocca a Robert Powell rischiare la vita per conquistare, tra Londra e Parigi, il fatidico 'segno del comando'. Powell, ex Gesù di Zeffirelli, interpreta infatti il ruolo del timido professore che si trova coinvolto in questa strana storia di fantasmi a Parigi, dove è relatore a un convegno su Byron. Un misterioso personaggio gli offre i diari segreti del poeta inglese e da lì cominceranno visioni, ricerche e inseguimenti in diverse zone di Parigi (nei giardini del Palais Royal e a Parc Monceau). Il film è interpretato da Sonia Petrovna nel ruolo di Olivia, l'ex fidanzata americana, Fanny Bastien è Emma, la donna del destino (il ruolo interpretato venti anni fa dalla Gravina), Elena Sofia Ricci è Barbara, la giornalista che prima cerca di impossessarsi del diario di Foster e poi si innamora di lui, Jonathan Cecil è l'addetto culturale che fa da guida al professore a Parigi, Michel Bouquet, il capo di una setta esoterica, e Paolo Bonacelli, il commissario che indaga sul caso. Il film, sceneggiato da David Grieco e Giuseppe D'Agata, ruota attorno alla ricerca di un oggetto magico e misterioso. Entrato in possesso del diario segreto di Lord Byron, il professor Foster dopo una sconcertante scoperta effettuata a Parigi, vede la propria vita indissolubilmente legata al ritrovamento del 'segno del comando' , un medaglione che dona l'immortalità al suo possessore. Il film, ricco di colpi di scena ed effetti speciali, si ispira solo vagamente alla storia interpretata da Gravina e Pagliai. Punta tutto sui fenomeni paranormali, ma approfondisce il personaggio del protagonista, il professor Foster, vittima di inquietanti visioni. "Il protagonista è un nevrotico distrutto dall'alcool che ha grandi problemi con le donne" spiega lo sceneggiatore David Grieco "il film è costruito come un giallo, della storia è rimasto solo il vecchio meccanismo della reincarnazione. Deve tenere i telespettatori col fiato sospeso, ma senza forzature". Il segno del comando, prodotto da Arturo La Pegna e Reteitalia e costato sei miliardi, va in onda tra le polemiche. È stato girato tre anni fa da Giulio Questi, con un cast tecnico di prim'ordine: il direttore della fotografia è Edmond Richard, che ha collaborato con Orson Welles e con Bunuel. Inizialmente doveva essere trasmesso nella primavera di due anni fa, in due puntate di cento minuti ciascuna, invece arriva in tv solo adesso, ridotto a metà, in un'unica serata. Ogni tanto ne veniva annunciata l'uscita, ma poi, per le più varie ragioni, spariva dalla programmazione. Vent'anni dopo. Esattamente ventun anni fa — correva il 1971: (come correva, com' è passato presto) — "Il segno del comando". È un evento televisivo che sorprende stupisce appassiona tutti. È una storia gotica. Pugnali nella notte, ombre e fantasmi del passato. Luoghi misteriosi. Ritratti che parlano. Personaggi che si reincarnano. E l'altr'ieri, mercoledì sera — vent' anni dopo — "Il segno del comando" è tornato. In un film per la tv sceneggiato da David Grieco e Giuseppe D'Agata, diretto da Giulio Questi. I protagonisti di allora: Ugo Pagliai e Carla Gravina. I protagonisti di oggi (cioè ieri, l'altr'ieri) Robert Powell, ex Gesù di Zeffirelli, ed Elena Sofia Ricci. La storia: la stessa o pressappoco. C'è un giovane professore di Cambridge, studioso di Byron, che trova in un manoscritto del suo amato poeta una indicazione conturbante. Che rinvia ad una predizione, che rinvia ad una maledizione. C'è stato nella storia un personaggio enigmatico che nasce il 30 giugno 1750 e muore esattamente quarant'anni dopo, nel giorno del suo compleanno. Niente di male, fin qui. Ma ce n'è stato un altro. Data di nascita: 30 giugno 1850, data di morte: 30 giugno 1890. Al professore-protagonista passa un bel brivido per la schiena (e vorrei veder voi al suo posto). Si ricorda di essere nato esattamente il 30 giugno 1950 (Anno Santo). Si rende conto che manca una settimana al suo fatale compleanno: 30 giugno 1990. Vuoi vedere che tocca anche a lui la stessa sorte? Vuoi vedere che egli altro non è che l'incarnazione di quel curioso personaggio che nasce e muore a scadenze fisse? Ma in una settimana quante ne possono succedere. Perché non è detto che debba finire tutto per forza male, come al solito. Se gli riesce di indovinare una certa misteriosa piazza parigina: con una fontana in mezzo, con sopra un angelo; se gli riesce di trovare, a dodici passi da quell'angelo, il "segno del comando", può sfuggire al suo lugubre, gotico destino: è salvo. C' è una spiegazione che dia conto del successo di una storia gotica come questa: e di tutte le storie gotiche (castelli, pugnali, fantasmi) che ci raccontiamo a far tempo dal Settecento? Ce ne sono tante. Di tutti i tipi. Mi limito a riferire l'ultimissima, dovuta ad uno studioso americano che si chiama Walter Kendrick ("The thrill of fear": "Il brivido della paura", New York 1991). Se i morti tendono a ritornare, da duecentocinquant'anni a questa parte, è perché non li abbiamo seppelliti bene. Li abbiamo sepolti in fretta. Fino a duecentocinquanta anni fa, noi la morte la guardavamo in faccia. Ci tenevamo il cadavere del caro estinto in casa, per un po' di giorni. Sentivamo l'odore dolciastro e sgradevole della decomposizione. Ricordate "I fratelli Karamazov" di Dostoevskij? Muore lo "starec" Zosima. Un sant'uomo. Ci si aspetta che si faccia vivo dall'aldilà con un miracolo. Altro che miracolo. Con sorpresa di tutti ci si rende conto che il cadavere comincia a decomporsi, a puzzare. Niente da fare. La morte è la distruzione, la decomposizione fisica (con tutte le conseguenze olfattive) della persona. Inutile negarselo. Ce lo siamo negato. L'abbiamo rimosso. Cerchiamo di non saperlo. E i morti tornano — nei film nei fumetti nei romanzi — per rammentarcelo. Bei discorsi da fare negli ultimi giorni delle vacanze, direte. Avete ragione. Ma questo è il discorso, dovevo nasconderlo? Se l'avessi fatto, avrei dovuto occuparmi più distesamente del "Segno del comando" visto mercoledì sera su "Canale 5". È bello, è brutto? È recitato bene, è recitato male? Mi trovo in grande imbarazzo. Non so dirlo. Perché questo nuovo "Segno del comando" che abbiamo visto l'altra sera è un cadavere, ampiamente mutilato. Doveva essere diviso in due puntate. È stato trasmesso in una puntata sola, abbreviata. Doveva durare cento minuti in più, è durato cento in meno. Doveva essere trasmesso due anni fa (considerate la data fatidica: 30 giugno 1990...), è stato trasmesso solo adesso, dopo essere stato conservato per due anni in una cripta. Perché? E chi lo sa. Va a capire. Viviamo nella civiltà dell'informazione. Quindi, come al solito, ci raccontano di tutto e non ci fanno capire niente. Una cosa è sicura. "Il segno del comando": film costosissimo, con non pochi elementi di pregio, da quel che si è intravisto (il direttore della fotografia era per esempio Edmond Richard, fotografo di Orson Welles, di Bunuel, di Fellini) doveva essere, per qualche ragione a noi sconosciuta, imbarazzante. È stato sepolto in fretta. Poi si lamentano: quando i morti tornano, per darci fastidio. Teniamoci pronti per il terzo "Segno del comando": fra vent'anni. |