Il dottore

Bompiani, Milano, 1976, pp. 189

Pino lo chiamano così, il dottore, perché qualche anno alla facoltà di Medicina lo ha passato e ha fatto un po’ di pratica in ospedale. Ma Pino non ha messo radici, non ha finito niente di quello che ha cominciato, non ha una casa propria e vive in quella del fratello Alceste, di sua cognata Marisa, che lo accudisce come fosse un secondo marito. Pino non sa come ricambiare, non può ricambiare, perché è nello stesso tempo fuori e dentro il circuito degli affetti familiari: porta in casa un po’ di soldi, che guadagna smerciando foto pornografiche per le quali posa come modello. Questo finto “dottore” è il personaggio esemplare di un momento della storia d’Italia in cui tutto sembra sistemato, in cui sembra che le cose vadano nel senso giusto, quello indicato da Mussolini. Ci si prepara alla guerra, non c’è opposizione, solo un senso di spossatezza, di non partecipazione, di accidia politica.
Pino decide di agire, a qualunque costo. Alla fine lo farà da isolato, da disperato, e finirà davanti al plotone di esecuzione. Il regime ha fatto schiacciare con facilità questa “pulce” politica, ma Pino ha lasciato il segno. La sua azione violenta, finita tragicamente, è come un fremito che annuncia la ribellione vera, profonda: un preludio improprio ma sensibile alla Resistenza.
Giuseppe D’Agata ci dà con questo romanzo la sua prova più matura, un romanzo davvero popolare, nel senso che tocca con semplicità e chiarezza i temi fondamentali dell’esistenza, messi a fuoco nella ricerca di un’identità umana e politica, nel momento in cui l’Italia fascista una falsa identità se l’era data.
(dalla quarta di copertina)

 

 

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