Il merciaio di Cracovia(The Peddler of Cracow) Giovedì 21 settembre PER la gente del luogo un settembre così non era motivo di meraviglia, ma per i turisti stranieri, per quelli che avevano puntato sull'accoppiata costituita dai prezzi della bassa stagione e dal bel tempo, di caldo ce n'era fin troppo. Il professor James Jefferson Walters era grato a tutti gli dei dell'Olimpo per le magnifiche giornate che la Grecia gli elargiva. Le considerava come un regalo, un segno di considerazione nei suoi confronti. Erano il tocco squisito di una ospitalità che era consapevole di meritare e che durava si può dire ininterrottamente da quando si era stabilito ad Atene, un paio d'anni prima. Dal patio della sua villa il professor Walters osservava il cielo ed era portato a credere, con sottile soddisfazione, che il sole, quella particolare tonalità d'azzurro e la forma stessa delle nuvole facessero parte di una grande cupola costruita dopo e perciò adattata alle esigenze architettoniche della villa. Guardò il tavolo di vimini. Gli ricordava vagamente un tavolo, ma i fili intrecciati erano di plastica, che aveva nel giardinetto della sua casa alla periferia di Boston, una casa nella quale metteva piede sì e no una volta l'anno. Anche i resti della colazione gli ricordavano l'America: uova al bacon, succo d'arancia, caffè lungo. In tutti i posti in cui gli era capitato di vivere, all'estero, non aveva mai saputo rinunciare alle sue abitudini, soprattutto a quelle alimentari e igieniche. La sigaretta si stava consumando nel portacenere. Si compiacque di non essere diventato un fumatore. Era una riprova della sua volontà di ferro, della costanza e della tenacia cui doveva l'ottima posizione che aveva raggiunto. Riprese in mano un blocco di fogli per appunti e diede un' occhiata distratta a ciò che aveva scritto il giorno prima. Stava preparando il corso di letteratura americana che avrebbe tenuto all'università di Atene per il nuovo anno accademico. Intendeva parlare dei narratori americani che avevano operato fra le due guerre: un corso che, lo aveva già sperimentato più volte, avrebbe ottenuto un sicuro successo fra gli studenti. Doveva soltanto aggiornare e rinfrescare delle vecchie nozioni e aveva tutto il tempo per farlo. Poteva prendersela comoda, godersi in pace il perenne sole di Atene. Ripensò al solo problema che, in tema di letteratura, si era volontariamente posto. Aveva in animo di ridimensionare, ridurre il ruolo di John Dos Passos, uno scrittore che non gli era mai andato a genio. Il problema consisteva nel determinare il nuovo spazio che gli avrebbe assegnato nel programma delle lezioni che aveva già minuziosamente fissato. Ma la cosa non lo preoccupava troppo: era abituato ad affrontare ben altri problemi. Tutto era tranquillo. La situazione politica della Grecia non presentava motivi di preoccupazione, le piaghe endemiche del sottosviluppo e della disoccupazione non offrivano particolari motivi di apprensione. La questione cipriota era per il momento sopita. I rapporti fra Grecia e Stati Uniti erano soddisfacenti... J. J. Walters dovette fare uno sforzo per richiamare alla mente il motivo vero, la ragione autentica per cui si trovava ad Atene. Aveva sostituito un collega che andava in pensione ed era diventato il numero uno della CIA in Grecia. Una destinazione periferica, secondaria: ma rappresentava uno scatto di carriera che gli avrebbe consentito, in seguito, un avanzamento verso mete più ambiziose. Accanto al tavolo di vimini, allungata pigramente su una sedia a sdraio, la signora Walters, una bionda sui trent'anni, grassoccia nonostante le continue e nevrotiche diete, prendeva il sole in costume da bagno intero. Un'espressione divertita le accese il viso, solitamente immobile, mentre stava adocchiando il piccolo Charlie, un biondino dai capelli caprini, che in piedi sul bordo della piscina fissava timoroso e ammaliato l'acqua, increspata da minuscole onde. Il professor Walters colse lo sguardo della moglie, scambiò un cenno d'intesa con lei, si alzò e si tolse la vestaglia. Era un uomo vigoroso e giovanile; dimostrava qualche anno meno dei quarantuno che aveva. Si era laureato in letteratura, faceva parte della ristretta casta degli intellettuali bostoniani, ma le sue doti, le sue qualità migliori, le aveva espresse rifulgendo in diverse discipline dell'atletica. Si avvicinò al bambino, che come lo vide si allontanò dalla piscina. Il padre lo afferrò per una mano. «Forza, Charlie, è ora che ti liberi del tuo complesso.» «James, lascialo stare», gridò la moglie, ma senza convinzione. Ricondotto sull'orlo della vasca, il bambino si ritrasse alla pressione del padre, che voleva indurlo a tuffarsi. «Ma ti rendi conto che hai già sei anni?» J. J. Walters era irritato. Un piccolo americano che aveva paura dell'acqua! Ed era suo figlio. Era il colmo! Cocciuto, Charlie si mise a frignare. Il padre decise di cambiare tattica. Meglio cercare di vincere la ritrosia del piccolo offrendogli un esempio paterno di abilità e di potenza. Prese in braccio il bambino e salì sul trampolino. «Stai tranquillo, ti prometto che non ti butto giù. Lo sai che quando papà fa una promessa la mantiene.» Parlando amichevolmente al figlio, rincuorandolo, osservò gli altri due uomini che si trovavano all'interno della villa. Uno, in maniche di camicia, si stava dedicando al giardinaggio: il calcio di una pistola sbucava dal fodero che portava sotto l'ascella. L'altro era accanto alla pesante porta che isolava completamente la villa. Seduto all'ombra, leggeva una rivista, compitando faticosamente le parole. Il professor Walters si mise a scherzare con il figlioletto. Lo tenne sospeso nel vuoto, finse di buttarlo giù, poi per rassicurarlo se lo strinse al petto, lo baciò e lo depose sulla stretta piattaforma. Charlie si aggrappò alla ringhiera e si preparò ad assistere all'esibizione del padre. Un paio di flessioni fecero vibrare il trampolino. Sollecitando la guizzante muscolatura del suo corpo bene allenato, l'uomo si preparò a eseguire il classico tuffo ad angelo. Uno scatto e si librò nell'aria. Ma, nell'attimo in cui impartiva il colpo di reni caratteristico del tuffo, la sua faccia si scompose in una espressione di sbalordito terrore. Aveva visto la canna di un fucile a cannocchiale spuntare dall'alto del muro di cinta della villa. Il fucile poggiava sulla spalla di un uomo che emergeva dal muro con tutto il busto e si muoveva lentamente, come se fosse sospeso nel vuoto. Sospeso nel vuoto, inerme, preso di mira da quel fucile, era anche il professor Walters, che non riuscì neppure a gridare. Una secca detonazione lacerò l'aria. Centrato in pieno petto, il professor Walters cadde come un masso. Piombando nella vasca sollevò una enorme colonna d'acqua. Charlie, la madre e le due guardie del corpo rimasero per qualche istante annichiliti dallo stupore. Estraendo le pistole, i due uomini reagirono per primi e, senza avere ben compreso ciò che era avvenuto, corsero verso la piscina. L'acqua si stava macchiando di sangue. Il corpo inerte di Walters affiorò alla superficie. La moglie, inorridita, si precipitò ad afferrarlo per un braccio, mentre Charlie gridava come un ossesso, incapace di scendere dal trampolino. Gli occhi di Walters erano spalancati, vitrei. Dal petto squarciato il sangue continuava a sgorgare. Dall'esterno della villa proveniva il rumore di un motore. Le due guardie del corpo corsero all'ingresso: con perfetto sincronismo, mentre uno balzava sullo spider di Walters parcheggiato nel vialetto d'accesso, l'altro si affrettò ad aprire la porta. Ma, appena varcata la soglia, sterzando a sinistra, verso il punto da cui presumeva fosse partito lo sparo, il guidatore dello spider fu costretto a frenare alla disperata: per pochi centimetri, e con una paurosa sbandata, lo spider evitò di cozzare contro una grossa autogru che, piazzata di traverso, ostruiva quasi completamente la strada che costeggiava la villa. Dal tetto della cabina dell'autogru, dov'era ritto in piedi quando aveva sparato contro Walters, un uomo era già sceso a terra e si allontanava con calma, guardando dietro di sé e impugnando ancora il fucile, un Mauser 66. Era un vecchio alto e magro, dal viso ossuto e dallo sguardo freddo e opaco. C'era come un sentore di morte nei suoi tratti avvizziti, ma il suo aspetto decrepito era contraddetto dall'agilità giovanile con la quale si muoveva. Indossava una tuta da operaio. A un tratto si mise a correre e in pochi passi raggiunse una macchina, una vecchia Fiat 1500 con targa greca che lo attendeva con il motore acceso. Al volante sedeva l'uomo che aveva manovrato l'autogru. La macchina partì e infilò la prima strada trasversale, una delle tante vie e viuzze del quartiere residenziale, che formavano una specie di fitto reticolo. Quando le due guardie del corpo di Walters riuscirono ad aggirare a piedi l'autogru, non trovarono alcun bersaglio su cui fare fuoco e sfogare almeno la loro rabbia. (pp. 7-12)
|